Carissimi,
attraverso il pellegrinaggio quaresimale, anche quest’anno, siamo giunti alla celebrazione del Mistero pasquale del Signore, cuore dell’anno liturgico e pilastro della nostra fede cristiana.
Questi pensieri che desidero condividere con voi non vogliono essere un messaggio di circostanza, ma degli appunti per una riflessione personale e comunitaria sulla responsabilità pasquale che abbiamo in quanto battezzati. La Pasqua per noi non può essere solo un rito da celebrare liturgicamente, ma deve diventare un progetto di vita permanente.
A questo ci esorta San Paolo, quando ai cristiani di Corinto scrive: “Togliete via il lievito vecchio, per essere pasta nuova, poiché siete azzimi. E infatti Cristo, nostra Pasqua, è stato immolato! Celebriamo dunque la festa non con il lievito vecchio, né con lievito di malizia e di perversità, ma con azzimi di sincerità e verità.” (1 Cor 5, 7-8).
La Pasqua di Cristo esige da noi credenti l’eliminazione dalla nostra vita di ogni lievito di malizia, perversità, incoerenza ed egoismo. Il Signore risorto ci chiede di impastare la nostra esistenza con il lievito nuovo della sincerità e della verità, perché abbia il profumo di una coerente testimonianza cristiana. A guidarci in questa riflessione pasquale sono due immagini: il giardino e la strada.
IL GIARDINO Il libro della Genesi narra che “il Signore Dio piantò un giardino in Eden, a oriente, e vi collocò l’uomo che aveva plasmato.” (Gen 2,8). Dunque, il cammino dell’uomo ha avuto inizio nel giardino fiorito di una armonica e serena relazione con Dio, con sé stesso e con l’ambiente. Questo giardino è stato ben presto infestato dalla zizzania della disobbedienza, della diffidenza e del sospetto verso Dio creatore, seminata dal nemico che approfittando della notte della coscienza umana, ha operato per la desertificazione del giardino.
Questo ha reso difficile il rapporto tra Dio e l’uomo, ma ha anche alterato il rapporto dell’uomo con sé stesso, il suo prossimo e l’ambiente da lui abitato.
Dio che “ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede il lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna” (Gv 3, 16), attraverso Gesù ha voluto ricostruire la relazione con l’uomo e far rifiorire tutte le dimensioni della sua esistenza. Per fare questa opera di restauro è ripartito dal giardino.
Narra l’evangelista Giovanni nel suo vangelo: “Dopo aver detto queste cose, Gesù uscì con i suoi discepoli al di là del torrente Cedron, dove c’era un giardino, nel quale entrò con i suoi discepoli.” (Gv 18,1). Gesù, dopo la cena pasquale nella quale si è donato come pane di vita e ha scolpito nel cuore dei discepoli il comandamento dell’amore con il gesto della lavanda dei piedi, ha attraversato il torrente Cedron imitando l’antico Israele che passò il Mar Rosso prima di entrare nella terra promessa, ed entrato nel giardino, reso inospitale dalla disobbedienza dell’uomo, si è consegnato nelle mani dei nemici: “Maltrattato, si lasciò umiliare e non aprì la sua bocca; era come agnello condotto al macello, come pecora muta di fronte ai suoi tosatori, e non aprì la sua bocca.” (Is 53, 7).
L’obbedienza feconda di Cristo, fino al dono totale di sé sulla croce, ha fecondato d’amore il giardino, che è ritornato ad essere luogo di vita e di armonia. Nel giardino è stato seminato il chicco di grano: “Ora, nel luogo dove era stato crocifisso, vi era un giardino e nel giardino un sepolcro nuovo, nel quale nessuno era stato ancora posto. Là dunque, […] posero Gesù” (Gv 19, 41-42); ma il chicco di grano non può restare a lungo nella terra, deve sprigionare la vita nuova: il grano maturo della resurrezione.
Ha ragione Maria di Màgdala a pensare che Gesù risorto sia il custode del giardino (Gv 20, 15); si, è Lui che ha restituito al giardino della creazione la bellezza e l’armonia originaria, con la sua morte e resurrezione.
A lui sta a cuore il giardino della nostra vita! La Pasqua è l’occasione di verificare se la nostra vita è il giardino bello, armonioso e fecondo voluto da Dio e restaurato da Gesù con la sua morte e risurrezione, oppure è il giardino infestato di zizzania, dove si concepiscono progetti sciagurati che umiliano la vita e la dignità umana.
Torniamo al giardino della resurrezione per ritrovare la bellezza della vita che pur recando le sue ferite, tuttavia, è un dono d’amore.
Torni al giardino della resurrezione la Chiesa, spesso tentata da antiche nostalgie di immobilismo e da rassicuranti liturgie ritmate da logiche mondane, più che da melodie evangeliche.
Tornino al giardino della resurrezione le famiglie, sempre più alle prese con relazioni e legami deboli e spesso più impegnate a promuovere il benessere dei singoli individui, che la comunione armoniosa delle differenze, per la crescita comune di tutti i membri.
Tornino al giardino della resurrezione i responsabili della cosa pubblica, sempre più dediti alle alchimie politiche, che alla promozione del bene comune e della dignità di tutti, soprattutto dei poveri.
Torni ad essere giardino della resurrezione la nostra casa comune, sempre minacciata da logiche di profitto, che umiliano il bisogno di sostenibilità, di cura, di rispetto del creato, che sale dal grido di larga parte dell’umanità.
Il giardino della resurrezione sia, per noi discepoli del Signore, laboratorio dove progettare percorsi di annuncio del vangelo, di promozione umana e sociale, soprattutto delle fasce fragili della società, e di cura del creato.
LA STRADA Se il giardino è il laboratorio dove far rifiorire progetti di risurrezione, la strada è il luogo dove questi progetti vanno vissuti. L’appuntamento dato da Gesù risorto agli apostoli, tramite le donne, è chiaro: “andate a dire ai suoi discepoli: È risorto dai morti, ed ecco, vi precede il Galilea; là lo vedrete” (Mt 28, 7). Gesù risorto dà appuntamento, ieri come oggi, sulle tante strade della Galilea della vita, agli incroci spesso turbolenti delle vicende umane dove è necessario tornare a portare la parola gentile e illuminante del vangelo della resurrezione.
Là, sulle strade della vita, lo vedremo; certo, non è facile per noi riconoscerlo come non lo fu per i discepoli di Emmaus. Perciò, come tracce della sua presenza, il Risorto continua a darci, ancora oggi, la sua Parola e lo spezzare del pane, il gesto eucaristico che è cifra interpretativa del dono totale della sua vita.
Frequentando assiduamente la Parola e l’Eucarestia, saremo in grado di riconoscerlo presente nei volti, nelle storie, nelle vite e perfino nelle passioni buone dei fratelli e delle sorelle che abitualmente incrociamo nei percorsi quotidiani della nostra vita.
Nel giardino della resurrezione elaboriamo sogni, progetti e percorsi di resurrezione, da portare sulle strade della vita. Questa è la stagione di evangelizzazione che si apre davanti a noi. Dal giardino alla strada per vivere una nuova stagione del cammino di evangelizzazione; e forse conviene ricordare a noi Chiesa che il Cristo Risorto, quale segno di riconoscimento, ha mostrato le sue piaghe, garanzia di autenticità del dono di sé stesso.
Pertanto, non dobbiamo aver paura di mostrare i segni della nostra fragilità redenta dal Signore; anche le nostre piaghe, se sono frutto di un dono totale d’amore, sono garanzia di autenticità della nostra testimonianza evangelica.
Le ferite divenute feritoie lasciano trasparire la somiglianza al Figlio amato, che ha dato sé stesso per noi, e allora potremo anche noi dire con San Paolo: “Sono stato crocifisso con Cristo, e non vivo più io, ma Cristo vive in me. E questa vita, che io vivo nel corpo, la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha consegnato se stesso per me” (Gal 2, 19- 20).
Care amiche e amici affido a voi questi semplici appunti pasquali, con la speranza che vi siano utili per progettare e decidere, nel vostro cuore, di intraprendere il santo viaggio della resurrezione, dal giardino alla strada, sulle orme del Pellegrino risorto, che sta alla porta della nostra vita e bussa, attendendo una risposta (cf Ap 3, 20).
Brindisi, 31 marzo 2023 BUONA PASQUA + Giovanni Intini
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