Amati figli,
Stiamo vivendo un tempo di prova, ma il Signore nella sua morte e risurrezione ci offre la speranza di una vita nuova. Quest’anno vorrei invitarvi a vivere la Pasqua all’insegna di una importante virtù: la pazienza. La parola “pazienza” deriva dal verbo latino patior e indica colui che soffre, ma anche colui che attende con tranquillità. Da questo vocabolo viene anche il termine “passione”, il cui significato è riferito all’intensità della sofferenza o al vivo interesse per qualcosa. Nella Bibbia c’è un personaggio che racchiude tutti questi significati ed è Giobbe, la cui “pazienza” è diventata proverbiale. Sebbene afflitto da tante prove, Giobbe benedice il Signore e alla fine, rafforzato da ciò che ha patito, fa una confessione di amore nei confronti di Dio: «Io ti conoscevo solo per sentito dire, ma ora i miei occhi ti hanno veduto» (Gb 42, 5). La sofferenza non ha mai l’ultima parola sulla vita e a buona ragione si può affermare che «la pazienza è la virtù dei forti», perché essa porta dentro di sé la capacità di guardare alla realtà e di tendere con forza e speranza a un futuro migliore. In natura, ad esempio, si osserva che tutto procede con “pazienza”. Dopo l’inverno gli alberi cominciano a emettere le prime gemme e la natura rifiorisce; non arrivano subito i frutti, né sbocciano subito i fiori, ma tutto prende vita con calma. Per tutte le cose belle serve pazienza, cioè passione e capacità di resistere alle sofferenze. Una coppia impara ad amare nel tempo, anche superando difficoltà e incomprensioni; una mamma porta in grembo il figlio per nove mesi e poi serve la pazienza dell’educazione per far crescere bene il bambino.
Quante sofferenze patiscono i genitori e quanta pazienza è loro richiesta, ma tutto viene portato avanti per amore. San Paolo lo aveva riassunto nel suo celebre inno: «La carità è paziente» (1Cor 13, 4). Tutti noi siamo figli di Dio e quanta pazienza nutre il Signore nei nostri confronti. Egli si comporta come il coltivatore del Vangelo, che non vuole far sradicare l’albero che non porta frutto, nella speranza che l’anno successivo sia fecondo (Lc 13, 6-9); è il padre misericordioso, che attende con ferma speranza il ritorno del figlio ingrato, per fargli festa (Lc 15, 11-32);
Egli è soprattutto Colui che ama fino a donare il suo Figlio per la nostra salvezza. Nella morte di Gesù in croce noi vediamo i segni della più alta “passione” per noi: la pazienza nel sopportare in silenzio le ingiuste accuse e offese, i tradimenti e le percosse; l’amore di voler riconciliare con il Padre l’umanità intera, afflitta dal peccato. Scrive san Pietro: «Cristo patì per voi, lasciandovi un esempio, perché ne seguiate le orme: […] insultato non rispondeva con insulti, maltrattato, non minacciava vendetta. […] dalle sue piaghe siete stati guariti» (1Pt 2, 21.23-24). La vera pazienza sta in questo: nel saper amare senza fine. Gli ammalati sono quelli che hanno bisogno più di tutti di essere sostenuti con il dono della pazienza. Essi sono uniti alla passione del Signore, quindi soffrono come Lui ma, in virtù di questa sofferenza, possono anche arrivare ad amare con Lui e come Lui. Nella malattia si arriva a scoprire il senso vero della vita. Per sostenere lo spirito degli ammalati la Chiesa da sempre offre il sacramento dell’unzione degli infermi. Ungendo l’ammalato con l’olio degli infermi, il sacerdote chiede al Signore che Egli doni forze rinnovate per riprendere le attività quotidiane, ma innanzitutto conforto, serenità e aiuto per sopportare i dolori del momento, unito alla passione di Gesù. La Pasqua è il trionfo della vita: diventi per noi un segno di speranza, a partire dallo sguardo riposto nel Crocifisso che “patisce” per noi e per amore. Dalla sua passione viene la nostra vita.
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