Sandro Santoro (nella foto) da Mesagne (Brindisi). «Quindi da Brescia?», si è sentito domandare più volte nel corso della carriera da giocatore. No, da Brindisi. Dietro a quella consonante «ingannevole», una distanza geografica significativa. «Ma forse ha ragione chi afferma che il libro della nostra vita è già stato scritto», racconta lui. La erre è diventata esse. E le sei stagioni in cui Santoro è stato general manager biancoblù sono coincise con l’epoca miglioredella palla a spicchi nella nostra terra. La promozione in serie A (e la permanenza nella massima categoria), una Coppa Italia sfiorata, una semifinale scudetto, tre partecipazioni all’Eurocup.
Il 30 giugno il contratto del dirigente scadrà. Per lui si apriranno nuove strade, come nuove strade saranno percorse dalla Pallacanestro Brescia. Non è solo la fine di un rapporto di lavoro come tanti, nel mondo dello sport. C’è dentro molto di più. «Sei stagioni nello stesso club sono tante – racconta Santoro -. Non è usuale nel nostro ambiente». Nel bilancio di una fetta di carriera, che è anche e soprattutto una fetta di vita, è difficile scegliere il momento più bello. «La promozione in A fu emozionante. Quella categoria mancava da anni. Ho visto la felicità negli occhi della gente al PalaGeorge». Da lì al PalaLeonessa A2A, «perché la crescita di un club impone sempre miglioramenti ed evoluzioni. Proprio come l’approdo in Eurocup».
Infinita la lista dei giocatori che il giemme ha portato a Brescia. «Sono affezionato a ciascuno di loro, nessuno escluso, per la professionalità che hanno dimostrato. L’ingaggio di Moss in A2 fu strategico e gettò le basi per costruire tutto il resto. L’arrivo di Landry per la serie A diede equilibrio e una notevole spinta emotiva. Altro passaggio determinante, l’acquisizione di Luca Vitali. Tre giocatori diversi sotto i punti di vista tecnico e caratteriale. Ma molto complementari e compatibili. Un esempio da cui farsi ispirare, e al contempo da cavalcare, per creare l’identità che abbiamo saputo assumere. Il tutto, mentre il tifo dei bresciani si fondeva sempre di più con la squadra». Tra i risultati conseguiti, ne esiste uno più speciale degli altri? «Lo sport cammina a braccetto con la vita. Sono molto legato alla semifinale con Milano. Il 26 maggio 2018 sono nate le mie figlie gemelle. In quei giorni, la Germani si giocava la serie con l’Olimpia». Un momento magico, su entrambi i binari della vita. «Ogni volta che le guardo – racconta -, rivedo quei giorni, i viaggi in aereo tra Reggio Calabria e Milano. Rivivo quelle emozioni».
Già, emozioni. Senza reticenza nel raccontarle. «Durante le mie sei stagioni a Brescia ho cambiato tre appartamenti. Ho lasciato un pezzo di cuore in ciascuna delle case. Adesso mi preparo a lasciare la città. Il giorno in cui arriverà il momento di farlo definitivamente, sarà il passaggio più duro». Le voci di mercato parlano di una nuova sostituzione di consonante. Da Bs, di nuovo a Br, Brindisi. Ma per Santoro è troppo presto per discuterne. «Non ho avuto alcun contatto concreto con nessuno – afferma – e poi Brindisi ha già un ottimo dirigente, che stimo. Varie società stanno iniziando a fare le prime valutazioni. Altre si leccano le ferite dopo una stagione molto complicata da vivere. Mi auguro che per me arrivi una chiamata dalla serie A. Faccio questo lavoro con passione. Con competenza? Lo spero, non spetta a me dirlo. Mi piacerebbe tornare qui da avversario».
Santoro ha vissuto il Basket Brescia Leonessa e la Pallacanestro Brescia come una famiglia, a fianco di Graziella Bragaglio, Matteo Bonetti, Mauro Ferrari, «che fin dall’inizio è stato ben più di un title-sponsor. Abbiamo gioito come una famiglia e anche litigato come una famiglia. Perché tutti ci tenevamo. Oltre la società, una città splendida. Le istituzioni, i tifosi, gli sponsor. Ciascuno ha portato il suo mattone. Chiunque ha dato il proprio contributo. Auguro a Brescia di proseguire il percorso al meglio». Senza rimpianti? Solo uno. «Vincere quella Coppa Italia sarebbe stato speciale…».
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