Perché si pensa di poter continuare a sfregiare il volto e i desideri di una città che è già stata fin troppo sacrificata nel nome dello sviluppo industriale della nazione? Ne voglio scrivere con rabbia, perché Brindisi ha già pagato caro il suo contributo alla crescita economica del Paese. La befana sviluppista qui ha portato cenere e carbone, e accanto ai ciclopi energetici ci sono i dinosauri petrolchimici: un complesso industriale che ha pesato sulla forma e sull’anima della città e che ha comportato anche un costo in termini di salute e di qualità della vita. Insieme a un grande sindaco come Domenico Menniti, il più bravo e il più leale tra i miei avversari politici, resistemmo con tenacia alle pressioni dei governi nazionali di tutti i colori che volevano imporre la scelta di un rigassificatore nel porto, pregiudicandone il destino. Il popolo brindisino si sollevò e le istituzioni locali furono in piazza. E quella non era la “sindrome di Nimby”, la solita cultura del No, l’insofferenza dei “provinciali” verso la modernità: era la coscienza matura dell’esaurimento di un ciclo segnato dalla colonizzazione industriale del Mezzogiorno, scandita dal ricatto occupazionale e dalla dittatura dei combustibili fossili. Era la solita storia. Io ti porto il lavoro e in cambio mi prendo la tua aria, il tuo spazio vitale, la tua autonoma visione della città e dei suoi talenti. Il Sud non aveva il diritto di pensare se stesso e il proprio futuro economico e industriale, era solo terra di conquista.
Ma quella volta Brindisi seppe dire No perché aveva costruito i suoi Si ad un altro modello di città e di comunità, immaginando nel rapporto fecondo col mare e con la portualità la chiave di uno sviluppo finalmente auto-centrato. Il water-front non era una retorica ma una proposta moderna e sostenibile e partecipata di pianificazione socio-economica.
Oggi leggo del progetto di costruzione di un deposito di carburanti, che è un impianto a rischio di incidente rilevante, proprio lì, sempre lì, dove gli impedimmo di collocare il rigassificatore: cioè in quel nostro porto che diventerebbe una stazione di servizio per lo sviluppo dei porti delle altre città e che perderebbe quella versatilità operativa su cui invece la città vorrebbe continuare a investire. Il lupo perde il pelo ma non il vizio. Io penso che lo sviluppo contro la democrazia non sia mai una buona cosa, soprattutto quando rimette sul grammofono sempre lo stesso disco: quello di un interesse nazionale presunto che spesso è la maschera che copre i giganteschi interessi privati di chi si crede padrone del mondo. Ma a Brindisi c’era e c’è chi dice No.
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