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“La bici nel pozzo” di Francesco Simone

10 Giugno. Cosa vi dice questa data? Niente. Data anonima, obiettivamente. A meno che uno non la associ a festività, ricorrenze, compleanni o episodi di festa. Io la associo a uno degli episodi piùtristi e forse dimenticati della nostra povera Italia. Un episodio che ha segnato emotivamente la mia infanzia, per i ricordi che ancora mi rievoca e per alcune…”soprannaturali” emozioni che ancora provo.
E’ il 10 Giugno 1981. Io avevo 6 anni (anche meno, compiendo gli anni a fine Luglio). Ero un bimbo esile e gracile di una città della campagna salentina, Mesagne.
Mesagne aveva il fascino e il marchio addosso delle città a vocazione agricola, era probabilmente in quegli anni molto più che adesso, la “città agricola” per eccellenza dell’area dell’alto Salento. Uliveti, vigneti , frutteti a perdita d’occhio. Strade assolate macerate da sole e solitudine a volte, volti desolati macerati da sole e solitudine il più delle volte.
Una città inconsapevole e chiusa, probabilmente capace di confidarsi solo con quella campagna che era il suo vestito più bello, inconsapevole di poter sfoggiare anche un abito barocco che ancora in quegli anni era custodito negli armadi, chissà poi per quale motivo.
C’erano i pozzi, tanti pozzi.
Mesagne era famosa per i pozzi, dotazione di ogni casa di campagna o appezzamento di terreno. Pozzi che ovviamente servivano per rifornirsi di acqua e che nel mio immaginario di bambino ingenuo e sognatore erano un intrigantissimo gioco.
Condito da mistero e intrigo per il fatto di essere un qualcosa che finiva giu’ giu’ giu’ quasi al centro della terra come la mia fantasia di bambino poteva immaginare.
Quando cresci poi scopri che un pozzo è una metafora, l’intrigante gioco sta nel trovare in un pozzo tante verità che scopri nella vita. Il lavoro di ricerca interiore somiglia in fonda alla perforazione di un pozzo: l’acqua è torbida all’inizio, ma dopo diventa chiara.
E spesso quando tiri fuori la verità da un pozzo, non riesci a liberarti della sua catena.
Vermicino, un paese anonimo della campagna di Roma sud.
Il 10 Giugno 1981 un bambino, Alfredino Rampi, cade in un pozzo di una contrada a pochi metri dalla sua abitazione. Nessuno se ne accorge, Alfredino è scomparso, partono le ricerche, scatta l’allarme. Viene ritrovato vivo quasi per caso da un poliziotto, che sentendo le grida del bimbo capisce dell’incidente. Il bambino è vivo ma è a 36 metri. Una profondità infinita.
Da là partono i tentativi di soccorso. Speleologi, volontari agili ed esili. Persino una specie di contorsionista. Un tale Licheri, che ora ha 76 anni, arriva a pochi metri dal bambino, riesce persino a scambiare due parole. Purtroppo tutta la mobilitazione diventata nazionale e massiva non porta a niente. Alfredino muore di fatto sotterrato e di stenti 3 giorni dopo. Licheri oggi vive nel rimorso di non essere riuscito a salvare il bimbo.
Si avvicinò al bimbo in verticale e riuscì a sfiorare gli occhi del bimbo. Gli promise per consolarlo che una volta fuori da là… gli avrebbe regalato una bici. Quella bici non arriverà mai per Alfredino.
Forse è ancora là nel pozzo, forse in un mondo parallelo avrebbe condotto Alfredino fuori da quella gabbia.
L’incidente di Vermicino fu di fatto “la prima puntata “della “tv del dolore”. Fu sdoganato il teatrino della tragedia. La diretta di quasi 20 ore Rai è una circostanza che forse ha superato il dramma in se’ per se’.
Arrivò persino il Presidente Pertini e in quella circostanza nacque di fatto il voyeurismo mediatico che adesso è cosa comune su questi benedetti maledetti social.
A distanza di 38 anni ricordo ancora di quella diretta le grida flebili e disperate di Alfredino.
Quel suo “Ma..mma…mi vieni a prendere?” riecheggia ancora nelle mie orecchie come un incubo.
Abbracciai mia madre. Le dissi all’orecchio: “Mamma, se cado nel pozzo della zia , mi vieni a prendere?”.
Alfredino è un angelo cosparso di terra come purtroppo consumò i suoi ultimi attimi atroci.
Quel maledetto pozzo non coperto da protezioni ,quella maledetta acqua da pescare.
Quell’acqua che io veneravo perchè mio padre mi diceva che “l’acqua più buona è l’acqua del sindaco”.
Quella delle fontanelle. Con la mia solita fervida fantasia chiedevo a mio padre se ogni volta che c’era un sindaco nuovo, cambiasse l’acqua.
E lui sorridendo, diceva …”Si, lu sinducu nuevu nnuci la sua” (Ogni sindaco nuovo porta la sua ).
E io un giorno, dopo l’elezione del sindaco Bardaro corsi di nascosto verso la fontanella della villa a pochi metri da casa mia per assaggiarla. E vedere davvero se fosse davvero …un’acqua nuova.
La mia città ha oggi un sindaco giovane e io conservo ancora la certezza di bambino che “ogni sindaco ” porti la sua “acqua” nuova. L’acqua del sindaco è sempre la più buona.
Buona fortuna al sindaco della mia città , così lontana e così vicina. Che Mesagne sia da domani un pozzo di arte di cultura e di risorse. E se accusi un pozzo di essere troppo profondo, forse è la tua corda che è troppo corta.
Che il piccolo Alfredino possa riposare su in alto e magari scorazzare con la bici tra le nuvole
Dove bere solo acqua limpida .

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