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Le braccianti nei campi per 5 euro l’ora, “e a fine mese restituiamo i soldi per il caporale”

Sono le 3,30, è ancora buio pesto, ma per strada c’è così tanta gente che sembra giorno. Sono tutte donne, di ogni età. Zaino in spalla e vestiti comodi. Saranno fuori quasi tutta la giornata. Sono sedute sui cigli della strade di Villa Castelli ed attendono che passi l’autobus che le porterà sui campi nel barese, nel tarantino o in Basilicata. Dipende dal periodo e dalla colture. In tutto il paese c’è un via vai ovunque. Dopo mezz’ora cala il silenzio, le strade si svuotano. Le braccianti sono partite e torneranno nel pomeriggio. Più lontano è il lavoro, più tardi ritorneranno a casa. Sfinite, sfiancate dopo sette ore con la schiena piegata. Ora è il periodo degli acinini, ma ci sono anche le ciliegie, le pesche e poi ci sarà la vendemmia. Ancor prima era stato il tempo delle fragole. Per questi lavori servono “le donne”, mentre per la raccolta delle angurie e dei pomodori e per zappare la terra vengono chiamati gli immigrati. “Quelli lavorano sino a 10 ore al giorno”. C’è questa distinzione nel mondo dell’agricoltura pugliese, e salentina in particolar modo.

Da queste parti la maggior parte delle donne lavora in campagna da sempre. In estate ci vanno anche le ragazze che d’inverno frequentano la scuola. Lo stesso accade a Francavilla Fontana, Torre Santa Susanna, Mesagne, Latiano e in molti paesi del Brindisino. Un lavoro duro e faticoso, ma necessario per portare avanti le famiglie, in paesi dell’entroterra dove le alternative sono davvero poche.

Rispetto al passato poco è cambiato. Lo sfruttamento c’è ancora, ed anche i caporali. Per lavorare bisogna passare da loro che fanno da intermediari tra le ditte e le braccianti. Decido loro chi lavora e quanto. Il caporale possiede pullman, autisti e c’è anche una donna, la cosiddetta “fattora” che si occupa della gestione della manodopera. Colei che annota orari e giorni per ciascuna lavoratrice. Certo dopo dure lotte “le donne”  non viaggiano più ammassate in vecchi furgoni, ora sono sedute in grandi pullman, ma le condizioni di lavoro sono sempre le stesse. Se provi a ribellarti resti a casa. Diverso è invece ancora per i migranti che vengono stipati come bestie in mezzi vecchi e malridotti, oppure raggiungono i campi in bicicletta percorrendo chilometri all’andata e al ritorno, al mattino presto quando è ancora buio e al calare del sole. La maggior parte di loro prende cinque euro ad ora, e molti non hanno neanche un contratto, lavora in nero.

Rosa ha 48 anni, vive a Villa Castelli,  lavora nei campi da quando ne aveva 20. “Ogni giorno la sveglia suona alle 2,30, con gli autobus ci portano in campagna, il luogo cambia in base al periodo – spiega – ora stiamo lavorando agli acinini (uva) e  mi pagano 33 euro al giorno, ma in busta paga ne dichiarano 46. Quei soldi vanno al caporale. Dieci euro per loro, che tolgono dalla nostra fatica e dal nostro lavoro fatto con sudore. E dobbiamo anche dichiararli, su quei soldi paghiamo le tasse. Tutti sanno tutto, ma nessuno fa niente. I caporali qui a Villa Castelli li conoscono tutti. Sono le stesse ditte che li chiamano per trovare le braccianti. Chiaramente nessuno si lamenta perché altrimenti non trovi più lavoro”. Le lavoratrici ogni fine mese sono costrette a restituire i soldi che vanno al caporale, ad altre invece vengono dichiarate meno giornate di lavoro così che i conti possano tornare tra buste paga e pagamenti degli stipendi. Una storia che va avanti da sempre. Rosa per sei giorni di lavoro ha dovuto restituire al padrone 70 euro.

La gente del posto non ci fa neanche più caso, in molti li giustificano. “Grazie a loro si trova lavoro – dice un uomo che passeggia nella piazza principale del paese – il caporale è una figura indispensabile, è la legge che deve tutelare caporale ed operaio. D’altronde è giusto che uno che ha dei terreni chiami il caporale per trovare i lavoratori”.

Il caporale prende 10 euro a bracciante e concorda tutto direttamente con la ditta. Si cerca di superare così lo scoglio dei controlli. “ Non è più come in passato – aggiunge Rosa – quando era lui che arruolava, contrattava la giornata con la stessa lavoratrice. Ora c’è un accordo tacito e fa tutto l’azienda”.

Una specie di rapporto “legalizzato”, ma i soldi poi vengono tolti dalla busta paga delle braccianti. Che guadagnano 5 euro 40 all’ora, quando nel contratto c’è scritto almeno 7,66 all’ora. Poco più di 5 euro per lavorare sotto il sole cocente o sotto la pioggia. “Ti fermi solo per andare al bagno dietro ad un telone. Siamo ancora in queste condizioni”.

“In questi giorni che fa molto caldo – dice ancora la donna – ci stanno facendo lavorare sino alle 12 perché stare nei campi a quell’ora è impossibile. È disumano. Ora c’è anche la l’ordinanza firmata dal presidente della Regione Puglia Emiliano che ha vietato il lavoro nei campi dalle 12,30 alle 16 nei giorni molto caldi. Questo ci aiuta tanto. Possono capire quel ragazzo morto di crepacuore dopo aver lavorato dalle 13 alle 17, è una lotta alla resistenza umana”.

Le braccianti lavorano ogni giorno dal lunedì alla domenica senza fermarsi mai, “Qualche padrone è più comprensibile e ci lascia a casa un giorno, altri invece se rifiuti di lavorare la domenica poi te la fanno pagare. È così da sempre”.

Nel 2016 il Parlamento italiano ha approvato la legge contro il caporalato che prevede un inasprimento della pena non solo per chi recluta illecitamente il personale ma anche per il datore di lavoro. La legge prevede la reclusione da uno a sei anni con una multa da 500 a mille euro per ciascun lavoratore reclutato. Ma nonostante questo il fenomeno continua. E trova le sue forme per esistere e resistere.

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