22 Novembre 2022
scritto da Redazione
(di Fernando Orsini*) FINALMENTE!
E così, il sigillo che ancora mancava è stato finalmente apposto. C’è voluto non poco, oltre trentadue anni, tanto tempo, troppo.
Ma l’emozione è così forte che pensare che si è atteso troppo a lungo stavolta conta davvero poco. Siamo pervasi da un coinvolgimento immenso che nasconde anche qualche amarezza che si è annidata nel tempo per la lunga attesa.
Ebbene sì, ci son voluti più di trentadue anni, la perseverante e ferrea determinazione di una mamma tenace, chilometri e chilometri macinati per tutto lo stivale per portare con tanto orgoglio e smisurata dignità, nelle scuole, nelle carceri, nelle parrocchie, fra i ragazzi di “Libera” e di altre associazioni, la storia e la memoria del barbaro assassinio di una figlia non ancora 26enne da parte della Sacra Corona Unita.
Più di trentadue anni durante i quali, Marisa, la mamma di Marcella Di Levrano – è della sua storia che stiamo parlando – non si è mai arresa, neanche di fronte ai non pochi pregiudizi che le venivano sbattuti in faccia e dopo che ben due volte chi doveva decidere aveva opposto il proprio rifiuto al riconoscimento di Marcella vittima innocente di mafia.
Con l’ostinazione di sempre e con in più alcune righe vergate da uno scrupoloso magistrato della Procura di Lecce, il Ministero dell’Interno ha accolto finalmente l’istanza ed ha decretato ufficialmente MARCELLA DI LEVRANO – il cui corpo martoriato, con il volto sfigurato e reso del tutto irriconoscibile dai colpi infertile con un grosso masso, venne rinvenuto il 5 aprile del 1990 in un bosco fra Mesagne e Brindisi – VITTIMA INNOCENTE DELLA CRIMINALITA’ ORGANIZZATA.
Della storia, della vita e della orrenda morte di Marcella, se n’è discusso ieri anche a Pavia presso il Collegio Santa Caterina da Siena, nell’ambito del “Festival dei diritti”, in un incontro promosso ed organizzato dal “Presidio Libera Pavia Rossella Casini e Marcella Di Levrano” dal titolo “Marcella Di Levrano. Una speranza sopravissuta alla sua storia”.
Oltre alla mamma di Marcella, Marisa, in una sala piena di giovani provenienti da diverse città, sono intervenuti il dott. Alberto Santacatterina, della Procura della Repubblica di Lecce, l’avv. Vincenza Rando, già vice presidente di “Libera” ed oggi senatrice, Daniela Marcone, responsabile del dipartimento «Memoria» di “Libera”.
Per molti di noi che conoscono la morte e, soprattutto, la vita di Marcella, i suoi scritti trovati in un’agenda (chi scrive ha avuto l’emozionante privilegio di custodirla per diverso tempo dopo la restituzione alla famiglia da parte della magistratura), il provvedimento ministeriale non è altro che la conferma di uno “status” che Marcella aveva già acquisito grazie al duro e complicato lavoro di “scavo” fatto dalla sua mamma, fortemente sostenuta da “Libera”, l’Associazione fondata da don Luigi Ciotti, che da diversi anni aveva già incluso il nome di Marcella nell’elenco delle oltre mille vittime innocenti che il 21 marzo di ogni anno vengono tristemente nominate nelle piazze italiane in occasione della “Giornata della memoria e dell’impegno delle vittime innocenti delle mafie”.
Della sua barbara esecuzione, decisa dalla efferata SCU, non sono stati mai giudicati né i mandanti, né gli esecutori materiali, anche se per gli inquirenti, quella orrenda fine era sicuramente riconducibile a dinamiche di tipo mafioso, come emergeva dalle dichiarazioni rese da più «collaboratori di giustizia» ritenuti del tutto attendibili.
Come ha minuziosamente ricostruito il dott. Alberto Santacatterina della DDA di Lecce, l’ultimo magistrato che ha esaminato gli atti relativi all’omicidio, stando alle affermazioni di alcuni «collaboratori» Marcella Di Levrano – dopo un trascorso di tossicodipendente, frequentazioni di ambienti malavitosi e con pregiudicati appartenenti alla criminalità organizzata brindisina e salentina – aveva deciso di abbandonare quel mondo, iniziando a collaborare con le forze dell’ordine e riferire alle stesse quel che sapeva della SCU.
Marcella aveva preso l’abitudine di annotare quel che le accadeva in un’agenda alla quale “confidava” tutti i suoi pensieri, scrivendo nomi, numeri e date. Diventò un diario minuzioso che raccontava storie di droga, di criminalità organizzata, ma anche – dopo la nascita della figlia – di ripulsa di quel mondo. Non le fu dato il tempo di venirne completamente fuori perché non appena si ebbe il semplice sospetto, fu decisa immediatamente la sua eliminazione in modo spietato, uno degli atti più truci della storia della feroce mafia pugliese.
Dopo oltre un trentennio, la storia di Marcella – “archiviata” per la giustizia, disseppellita dall’oblio in cui è stata avvolta per lungo tempo grazie alla pervicacia di mamma Marisa e dei non pochi che sono stati al suo fianco – oggi ha finalmente il suggello che le mancava. Quello di uno Stato che con l’apposizione del fatidico timbro ministeriale ha certificato la inoppugnabile “verità storica” di uno dei più orrendi omicidi, restituendo finalmente a Marcella e, con lei, a sua figlia Sara ed all’instancabile Marisa, quella doverosa dignità negatale in questi insopportabilmente lunghissimi 32 anni.
*Avvocato, già Presidente del Consiglio comunale di Mesagne
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