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Vito, i genitori e il maestro: un manifesto contro il bullismo

(di Gianmarco Di Napoli) Pubblichiamo l’editoriale che Gianmarco Di Napoli ha scritto per il7 Magazine che condividiamo in pieno. E’ un manifesto, pieno di umiltà, contro il bullismo.

Vito Dell’Aquila è in questo momento il più forte taekwondoka del pianeta, l’unico che nei campionati mondiali di Guadalajara, in Messico, ha confermato la medaglia d’oro che nel 2021 aveva vinto alle Olimpiadi di Tokio. Nella sua categoria, quella al di sotto dei 58 chilogrammi, Vito ha sconfitto in sequenza un saudita, un egiziano, un kazako, e poi in semifinale un messicano, idolo di casa, e in finale un coreano, per il quale il taekwondo è lo sport nazionale. Il suo successo, assoluto, lo pone in cima alle classifiche di questa arte marziale di combattimento a contatto pieno.
Se stessimo parlando di calcio, in questo momento sarebbe un potenziale Pallone d’Oro. Vito Dell’Aquila ha 22 anni ed è nato a Mesagne dove si è diplomato al Liceo Scientifico “Epifanio Ferdinando”. I genitori sono entrambi agricoltori: lavorano la terra in un appezzamento alla periferia del paese. Quando, qualche giorno fa, un collega della Rai lo ha contattato per un’intervista dopo il successo al Mondiale del figlio, il padre ha cortesemente declinato l’invito: “Grazie, ma stiamo lavorando e siamo sporchi di terra”. Con una naturalezza che quasi non sembrava fossero coscienti del fatto di avere un figlio campione del mondo, oltre che olimpico.
Vito è già commendatore, onorificenza consegnatagli del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, e ha ricevuto anche la Collana d’oro al merito sportivo, la massima tra le onorificenze del Comitato olimpico nazionale italiano. Con le gambe lunghe (e letali) che ha potrebbe camminare agevolmente sulle nuvole, avendo raggiunto a soli 22 anni già tutti i risultati che un atleta sogna di ottenere (e sono davvero in pochi quelli che ci riescono) in una carriera intera. Oltre alla medaglia d’oro e al titolo mondiale, ha vinto l’oro (e anche due bronzi) agli Europei, un oro e un bronzo pure alle Grand Prix Final.
E invece Vito non solo cammina con i piedi ben piantati per terra ma ha mantenuto quell’atteggiamento semplice, da ragazzo gentile, umile e modesto così raro da trovare in chi ha raggiunto la notorietà, soprattutto se così giovane. Vito è un bravo ragazzo. Non è un caso.
L’episodio dell’intervista alla Rai, cui probabilmente nessun genitore avrebbe mai rinunciato, racconta una famiglia che ha formato i propri figli sui valori del sacrificio e dell’impegno, sull’importanza e la dignità del lavoro, ma anche sul principio dell’umiltà. E Vito questi valori li ha fatti propri nonostante i riflettori, la fama e il successo li metterebbe duramente alla prova.
Ma la famiglia non è l’unico prezioso forziere nel quale Vito è divenuto un ragazzo e un atleta straordinario. Il suo successo sportivo non è casuale: è cresciuto in una delle scuole più importanti del taekwondo europeo, la New Marzial del maestro Roberto Baglivo, creata in una piccola e quasi anonima struttura alla periferia di Mesagne. Baglivo che persino in Corea, dove questo sport lo hanno inventato, viene considerato una specie di divinità, ha formato un’infinità di campioni italiani, europei e mondiali e anche un’altra medaglia d’oro olimpica, Carlo Molfetta.
Ma Baglivo non è soltanto il migliore nella creazione di talenti sul tatami, ma anche fuori dalla palestra: i suoi ragazzi, anche quelli che non raggiungono risultati eccezionali nelle competizioni sportive, si distinguono per la correttezza dei comportamenti e il divieto assoluto della violenza. Loro che con un calcio potrebbero mettere ko qualsiasi tipo di coetaneo, e anche più di uno contemporaneamente, sono educati a non utilizzare mai la forza. Al punto che qualche volta vengono presi quasi in giro dagli altri ragazzi del paese che scambiano questo atteggiamento pacato, privo di qualsiasi forma di aggressività, con una mancanza di coraggio. Tutt’altro.
In un momento in cui si studiano le contromisure per fronteggiare gli episodi sempre più frequenti di violenza tra ragazzi, Vito Dell’Aquila, i suoi genitori, il suo maestro, i suoi compagni di palestra, dimostrano che la soluzione è molto più semplice di quello che si pensa. Il bullismo non va combattuto militarizzando le strade ma restituendo alle famiglie, alla scuola, alle palestre, alle parrocchie quel ruolo di formazione e di educazione che hanno smarrito.
Quando un ragazzo sbaglia non è quasi mai solo colpa sua.

 

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